VARGAS (racconto)
rubrica: Racconti oltre il velo
Vargas si sporse dal seggiolone afferrando risoluto il cucchiaio che stava sul tavolo accanto alla zuppa fumante del padre. Lo scaraventò a terra sghignazzando mentre il tintinnio vibrante si dilungava lungo il corridoio. Isabella, sua madre, lo raccolse per l'ennesima volta esasperata:
Quante volte devo ripetere che le posate stanno sul tavolo?!
La donna, scrutando minacciosamente il figlio, ripose il cucchiaio al suo posto con impeto: il tavolo fremette e la zuppa ondeggiò pericolosamente verso il bordo per poi livellarsi nella brodaglia giallastra. Il bambino per nulla intimorito dall'ennesimo rimprovero ghignò astutamente, l'iride verde bottiglia s'illuminò di malignità mentre con lo sguardo sfidò quello incredulo di sua madre: si sporse ancora una volta, afferrò nuovamente il cucchiaio, e nel gettarlo a terra usò la stessa identica forza che la donna aveva impiegato nel riposizionarlo sul tavolo.
Vargas era così, un bambino pestifero e oltraggioso fin dalla tenera età.
Trascorsero diversi anni da allora, con l'avvicinarsi del periodo adolescenziale le cose parvero peggiorare:
Anafettività!
Aveva appena sentenziato il medico.
Mentre Isabella si scioglieva in lacrime, lo sguardo del ragazzino vagava annoiato nello spazio dell'ambulatorio come se quelle parole non descrivessero nulla di lui. Lo specialista si raccomandò di coinvolgerlo in situazioni familiari piacevoli così che il ragazzo potesse sentirsi accolto. Quello stesso fine settimana Isabella e suo marito organizzarono una gita al lago con Vargas e la sorellina più piccola Mimì.
Il ragazzino non era per niente interessato a vivere momenti in serenità coi suoi cari, quindi trascorse tutto il tempo a mostrare il peggio di sé con la ragazzina che le correva dietro smaniosa del suo affetto. Accadde un fatto però, proprio mentre tirava le trecce bionde della sorella: ad un certo punto, il giovane, osservò due occhi verde bottiglia come i suoi mimetizzarsi oltre la superficie dell'acqua, sotto le lenticchie verdi dello lemna. Vargas mollò immediatamente la presa, Mimì, finalmente libera, corse a cercare conforto tra le braccia della madre. I genitori, ormai sfiniti dalla lunga giornata di tormenti, iniziarono a disinteressarsi di lui e lasciarono che in solitudine si avventurasse tra la macchia del lago. Gli occhi misteriosi fluttuarono ancora un poco nell'acqua, il ragazzo li inseguì col desiderio di tirar fuori da lì qualsiasi cosa ci fosse al di sotto della superfice. Non appena la vegetazione rese l'ambiente più intimo, ostacolando sguardi indiscreti, si avvicinò impavido. Improvvisamente una creatura mostruosa schizzò fuori dal lago impressionandolo, era la via di mezzo tra una donna e un pesce, di quelli coi denti aguzzi e verdi che vivono negli abissi marini. Il lemna gli incorniciava il viso come fosse stato un velo da sposa. Vargas, a quella visione, arretrò impaurito per la prima volta in vita sua mentre Il mostro allungava la mano artigliata e lo afferrava per una caviglia. Il ragazzo cadde a terra battendo a terra il fondoschiena, ma immediatamente iniziò a dimenarsi. Allora la donna maligna affondò gli aguzzi denti nelle carni della gamba polposa: Vargas non urlò ma, con l'arto libero, gli assestò un calcio possente proprio in mezzo agli occhi. La testa immonda volò all'indietro, il lemna si sparpagliò ovunque imbrattando persino il suo viso. Finalmente libero dalla presa Vargas corse via in direzione dei genitori che ormai ritiravano in macchina i cesti da pic-nic. Trafelato raccontò loro l'accaduto, Isabella si stupì di scorgere nei suoi occhi un sentimento, un barlume di paura, e speranzosa lo strinse al petto. Poco dopo, in macchina, mentre rientravano a casa, la piccola iniziò a piangere di cuore, Vargas le aveva intrappolato le dita nel finestrino. Isabella, ormai rassegnata all'evidenza, gli urlò contro cercando d’intimorirlo:
La donna che hai incontrato al lago è Jenny Dentiverdi, se non cambi immediatamente atteggiamento lei tornerà a prenderti!
Vargas, invece, rise di gusto.
La mattina successiva, alle prime luci dell'alba, il suo letto venne risucchiato nei fondali del lago mentre vi dormiva sopra. Era Jenny che con le braccia forzute faceva peso perché affondasse. Vargas sentiva di non poter più respirare e mentre si dimenava convinto di annegare la sentì pronunciare un avvertimento:
L'oscurità chiama altra oscurità!
Il ragazzo si svegliò di soprassalto, rincuorato che fosse solo un sogno, si trascinò in bagno e guardandosi allo specchio trovò di avere il viso piuttosto smunto e la bocca impastata. Spalancò il cavo orale per tirar fuori la lingua bianca e screpolata. In quel momento s'accorse che i suoi denti erano verdi, di un verde melmoso. Incredulo per la strana piega che stavano assumendo gli eventi afferrò lo spazzolino e dopo averci spremuto sopra una bella presa di dentifricio iniziò a sfregare per quasi venti minuti. Fu tutto inutile, anzi gli parve persino che i denti gli si fossero assottigliati diventando aguzzi. Infine, sulle unghie e nel bianco degli occhi comparvero delle petecchie, sempre verdi, simili a lenticchie di lemna. Allora Vargas ricordò cosa gli aveva detto Jenny quella stessa mattina "l'oscurità chiama altra oscurità".
Ora dentro di lui sentiva che quello non era mai stato il suo posto.
Vargas scomparve. Il panettiere di zona riferì alla polizia che quella stessa mattina lo aveva visto dirigersi verso il canale. Per settimane tutti gli uomini del paese avevano scandagliato il letto del fiumiciattolo. Dalla città erano giunti persino i sommozzatori più esperti, ma non trovarono mai nulla. Isabella pianse per anni su di una lapide vuota, di tanto in tanto era costretta a strofinarla per bene, perché una sostanza viscida, tale alla melma, ne imbrattava il tumulo e un odore pestilenziale si diffondeva per tutto il cimitero. Allora la donna si rincuorava certa che fosse il figlio, a suo modo continuava a darle il tormento, ma lei lo sentiva nel cuore come fosse stato un gesto d'amore.
Testo di Tamara Barbarossa (@tamara_barbarossa)
Illustrazione di Barbara Aimi (@aimi.barbara)
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