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Siamo giardini in cui tutto si trasforma.

rubrica: I giardini che siamo


Quando alcuni anni fa ho scelto di diventare ortoterapeuta, avevo già 48 anni e mi sono rimessa in cammino per ottemperare ad una promessa che avevo fatto a me stessa molti anni prima e che suonava più o meno così: “finché avrò forza a sufficienza, voglio lavorare nella terra e con la terra e, soprattutto, seguire i ritmi della Natura”. All’epoca mi ero appena trasferita a Milano e dopo qualche impiego temporaneo, trovai lavoro nel mio ambito, occupandomi di comunicazione presso un ufficio stampa dove, tra le altre cose, avevo modo di organizzare e promuovere mostre fotografiche di giovani talenti. Ero lì non a caso, per superare la mia paura di non farcela, per imparare a contare sulle mie sole gambe, per trovare la mia strada dopo averne già percorse altre e, a dirla tutta, anche per chiudere definitivamente le porte ad un amore finito male e per ricominciare un’altra volta da zero. Avevo 35 anni, un lavoro che mi piaceva, una città da scoprire e una vita da reinventare ma, di certo, non ero affatto con le mani nella terra.

Fin da allora avevo in mente un giardino in cui mi sarei sbizzarrita a coltivare piante e seminare fiori. Il mio giardino, tuttavia, esisteva solo nella mia mente, mentre quello reale - di cui mi sarei occupata un giorno - all’epoca era pressoché incolto e abbandonato a se stesso; a pensarci bene, proprio come ero io in quel momento; ma non mi importava molto, perché avevo (e ho) da sempre Sensei, il mio Maestro buddhista che in un suo scritto esortava a “continuare a disegnare il nostro giardino, non importa da dove saremmo partiti, purché iniziassimo: poche pennellate o pochi tratti, a cui aggiungere poco alla volta, fino ad aver un disegno via via sempre più dettagliato, pieno di colori e particolari”. 

Lui si riferiva metaforicamente alla vita, ma io presi alla lettera il suo incoraggiamento e così, ovunque fossi, in un appartamento al quinto piano in città, in balia delle onde o dei tumulti che la vita riserva a tutti oppure in transito da qualche parte con una valigia al seguito (capitava spesso a quel tempo), decisi che mi sarei impegnata ad essere e a diventare io quel giardino, fino a realizzarlo, in un modo o nell’altro, con le mie stesse mani.

Da allora questo pensiero non mi ha mai abbandonata. Sono passati 15 anni e mille rivoluzioni; talvolta mi sembra di aver vissuto cento vite diverse e ho ricominciato un’infinità di volte, ogni volta con qualche consapevolezza in più, ogni volta avvicinandomi sempre più al disegno del giardino che avevo e ho in mente; sempre lui, un’àncora di salvezza a cui tendere e aggrapparmi. Prima di essere una professione, l’ortoterapia è stata per me una pratica inconsapevole che mi ha guidata nelle turbolenze della vita: la delicatezza di una foglia, il suo cambiar colore per lasciarsi morire e poi rinascere, così come un bulbo che emerge da sotto terra per rifiorire ogni anno in tutto il suo splendore e ritirarsi nuovamente a tempo debito sono per state per me metafore potentissime sul cambiamento che investe e riguarda ogni vivente su questo pianeta. Proprio come accade ad un fiore dalla cui morte nascono i semi: un concetto che è ben espresso e racchiuso superbamente nelle illustrazioni e nel racconto di Beatrice Alemagna “Le cose che passano” edito da Topipittori.



Ho amato da subito questo albo che fin dalla copertina - in cui è raffigurata una bambina che soffia sul fiore di tarassaco - parla di cambiamento attraverso la metafora del soffione, che tanto piace ai bambini e che riesce a far ritornare quasi chiunque alla propria infanzia, attraverso il semplice e istintivo gesto del soffio. La poesia pervade tutto il testo, che pagina dopo pagina, ci racconta di come tutto voli via, si trasformi, muti in qualcos’altro: una musica, la polvere, una ferita, i pensieri neri; ma anche le lacrime, le foglie, i capelli e… persino i pidocchi! 

Tra tenerezza e umorismo, i personaggi illustrati a tutta pagina, un po’ a ricordare graffiti stilizzati e disegni d’infanzia iper-colorati che campeggiano talvolta su alcuni muri di città, ci conducono in una passeggiata lungo il vivere quotidiano, nei piccoli cambiamenti di ogni giorno che investono tutti noi. Beatrice Alemagna ci consegna così un racconto potente nella sua apparente semplicità - utilizzando l’escamotage del prima e del dopo - attraverso una pagina di carta velina trasparente su cui l’oggetto in questione raffigurato e stilizzato “passa” letteralmente da uno stadio ad un altro voltando la pagina: e così, come fosse un gioco, ad ogni girar di pagina, tutto cambia: le foglie che troviamo sui rami di un albero, così, vanno a far parte della trama del maglione dal giardiniere che innaffia la pianta stessa e che è raffigurato sulla pagina precedente.

Le illustrazioni assumono davvero autonomia narrativa grazie agli elementi raffigurati che letteralmente si muovono, passano e si trasformano - quasi a dissolversi - diventando un semplice elemento parte del tutto, a ricordare che siamo granelli di sabbia o semi al vento, ognuno con una sua particolare unicità e significato nel posto in cui si trova; ma ci trasformiamo impercettibilmente ogni giorno, fino a diventare parte di un tutto; una metafora che la natura conosce molto bene e che risulta molto evidente se proviamo ad affiancare su un cartoncino i diversi stadi di vita che un fiore attraversa. 

E così diventa semplice parlare di passaggi e di mutamenti, ai bambini ma anche agli adulti in difficoltà. 

Ci si commuove leggendo questo racconto e si ama rileggerlo più e più volte.

Alcuni giorni fa, quando avevo già deciso l’argomento e l’albo di cui avrei parlato in questo articolo, ho avuto modo di passeggiare a lungo per una giornata intera nei boschi e di soffermarmi sulle parole di Chandra Livia Candiani, poetessa illuminata e illuminante, la quale in un’intervista afferma: «Diventare orti significa che siamo coltivabili. Spesso le persone, mi dicono “Ormai ho un’età che certe cose non si cambiano più”. E io non ci credo, il mio progetto è quello di cambiare fino all’ultimo respiro, di cercare di trasformarmi in ogni momento».

Nella vita sono molte le cose che passano. Si trasformano. Tranne una, però. A voi di scoprirlo nell’ultima pagina di questo meraviglioso albo illustrato.



Testo e fotografia

di Milena Bellonotto (@ventodifogli.e)




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