top of page

QUADERNO PROIBITO di Alba De Céspedes

“Ho fatto male a comperare questo quaderno, malissimo. Ma ormai è troppo tardi per rammaricarmene, il danno è fatto. Non so neppure che cosa m’abbia spinto ad acquistarlo, è stato un caso. Io non ho mai pensato di tenere un diario, anche perché un diario deve rimanere segreto e, perciò, bisognerebbe nasconderlo a Michele e ai ragazzi. Non mi piace tenere qualcosa nascosto; del resto, in casa nostra, c’è talmente poco spazio che sarebbe impossibile riuscirvi.”

È Valeria Cossati che ci parla, dal 26 novembre 1950. 

Sullo spazio menzionato all’inizio del libro rimane a lungo un sospetto: non si sa, cioè, come si sia creato, se si sia trattato di un puro caso oppure se sia stata lei a desiderarlo. Eppure la lettura delle pagine di questo quaderno acquistano via via la confidenza tale per cui non si avverte l’esigenza di dare una risposta certa nonostante sia, questo, un dettaglio che turba non di poco la protagonista. Tanto da renderla reticente, diffidente, dubbiosa e sfiduciata. Ma anche appassionata, ammaliata, dipendente, complice. 

Perché, lo vedremo poi, la scrittura concepita come scrigno di libere confidenze, alcune quasi impossibili da avvicinare perfino con il pensiero, ha un potere terapeutico. Sta proprio qui il perno attorno al quale ruota l’intera vita di Valeria, che racchiude minuziosamente nell’aggettivo “proibito”: ciò che non concediamo, per primi a noi stessi.

“La mia vita mi è sempre parsa piuttosto insignificante, senza avvenimenti notevoli fuorché il mio matrimonio e la nascita dei bambini. Invece da quando, per caso, ho cominciato a tenere un diario, mi pare di scoprire che una parola, un accento, possono essere altrettanto importanti, o anche di più, dei fatti che siamo abituati a considerare tali. Imparare a comprendere le cose minime che accadono tutti i giorni, è forse imparare a comprendere davvero il significato più riposto della vita.”

Entriamo quindi in punta di piedi, ma col suo benestare, nella fitta vita di Valeria fatta di rapporti familiari, in primis, e lavorativi. La società viene osservata alla lente di ingrandimento: spacchettata in schemi, dinamiche, usanze, avanguardie. I primi personaggi che incontriamo, e che chiaramente assumono il peso maggiore nella storia, fanno parte del suo nucleo familiare più stretto: marito e figli. Poi ci sono i genitori, i vicini, le amiche, i colleghi e il datore di lavoro, fino agli sconosciuti. 


La piccola casa di Valeria inizia così ad aprirsi e, se i nostri occhi si fanno abbastanza discreti, diventiamo velocemente parte degli arredi, delle tensioni, dei bisogni di ciascuno, pur mantenendo una distanza equa di prospettive, senza cioè esprimere giudizi affrettati sulle ragioni e i torti che ognuno esprime. Questa è la sensazione che più mi ha affascinata in quest’opera, oltre all’uso magistrale di un lessico tanto tangibile quanto soave: una sorta di fiducia nello scandagliare i vari segmenti dei punti di vista, di sé e degli altri, nonostante l’apparente rischio di difendere le proprie posizioni che si potrebbe correre scrivendo intimamente in prima persona.

Le scoperte di Valeria sono state le mie. I suoi dubbi, le valutazioni e le rivalutazioni. Essere spinta a interrogarmi e ad ampliare lo sguardo su zone personali che in quel momento non stavo notando è l’estremo dono che ho ricevuto dalla lettura di questo libro. Con frasi che rasentano il dolore e la libertà, su quel filo sottile che cammina chi osa, mi sono sentita chiamata a conoscere e a conoscermi.

“A poco a poco, perduta in questi pensieri, ho incominciato a piangere. Ero sola nella casa vuota, nel silenzio domenicale, e mi pareva di aver perduto per sempre tutti quelli che amo se essi, in realtà, sono diversi da come li ho sempre immaginati. Se, soprattutto, io stessa sono diversa da come loro immaginavano me.”

Ed è forse inevitabile che la spinta che le scoperte producono conduca a cambiamenti, dentro e fuori di noi.  

Assistiamo leggendo ai mutamenti dei rapporti fra tutte le figure presenti nel libro, che sono anche le figure presenti in noi, che portano in primo piano chi erano, chi sono e chi vorrebbero essere. Chi diventeranno dipende dalle scelte che compiranno, anche dopo confronti aspri e apparentemente rigidi.

“Mi sorrideva: «Mamma, perché non puoi ammettere che io sia felice a modo mio?» Le ho detto che la felicità, almeno come la immagina lei, non esiste, lo so per esperienza. Lei ha obiettato: «Ma tu hai l’esperienza di una sola vita, la tua. Perché non mi vuoi lasciare almeno la speranza?»

Di sicuro è il temperamento di Mirella, la figlia di Valeria, ad aver destato la mia attenzione in più riprese durante la lettura, mostrando senza filtri i limiti di un tempo passato. La sua veemenza, in alcuni casi, e il suo comportamento inesorabile senza bisogno di apparire eclatante mi hanno dimostrato quanto ancora oggi senta attuale le questioni legate all’indipendenza, al rispetto, alla volontà, che risuonano nonostante le generazioni, nonostante i diritti. 

Alba De Céspedes ha parlato di politica senza parlare di politica, in modo delicato e ampio, facendo emergere una modernità che non ha colore, sesso, classe né genere. Coinvolgendomi dalla prima riga fino all’ultima, cosicché quel 27 maggio potrebbe essere oggi. Forse, con un finale differente.


Alba De Céspedes

QUADERNO PROIBITO

Mondadori


Recensione e fotografie di Rossana Orsi (rossana_orsi)



Comments

Rated 0 out of 5 stars.
No ratings yet

Add a rating

Associazione Culturale La Chanceria

P.Iva 16588161006

MAIL TO:

lachanceria@gmail.com

CELL:

3922505249

© 2025 La Chanceria Lab 

 

Proudly created with Wix.com

bottom of page