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MOLCHER - terzo capitolo

Rubrica: Racconti oltre il velo

(puoi leggere i CAPITOLI PRECEDENTI qui)

Novembre


Gli spiriti della collina avevano oltrepassato il velo e vagavano ora solitari per terre brulle e sconosciute, lontani dalla loro patria e dalla loro casa. I rami degli alberi piangevano le ultime foglie rimaste, mentre queste ultime si adagiavano sul terreno freddo e insonnolito riducendosi in melma. Nubi fosche e nere attraversavano il cielo a stormi, le sere, anche al campo, iniziando a profumare di legno nuovo, di fuochi accesi e di pioggia intanto che le notti buie incedevano rapide.

Era giunto Novembre, mese di nebbie e di morti che si contavano sulle lance trafitte nel terreno.

Molcher si levò dal giaciglio improvvisato, frastornato e dolorante. Vi giaceva da settimane, da quando era stato ferito.

La profonda lacerazione infertagli in battaglia non si rimarginava, anzi, era purulenta e maleodorante. Venne anche cauterizzata, ma costantemente si riapriva ad ogni respiro.

Giorno dopo giorno Molcher lottava contro il desiderio di lasciarsi andare piuttosto che sperare di raggiungere i compagni che galoppavano verso la gloria di Dio. Lui non possedeva nulla per cui lottare: non un ideale, non un sogno, non più almeno, li aveva persi in battaglia, rotolati via come sassi dalle tasche.

Quella notte, delle goccioline di nebbia gelata si erano posate su tutta la superficie della tenda dove stava trascorrendo la convalescenza. Osservandola meravigliato, gli ricordò la reggia di una regina ornata da preziosi diamanti. Quelle gocce brillavano appena i tenui raggi del sole riuscivano a oltrepassare la fitta coltre di nubi.

Spirava anche un vento leggero, ma talmente freddo da dargli l'impressione che il naso, rosso e gocciolante, presto gli si sarebbe staccato.

La densa nebbia, inoltre, sinistra e appiccicosa quanto un presagio, si diffondeva per tutto l'accampamento sollevandosi attraverso il canneto dello stagno sottostante. La morsa dell'inverno si stringeva sul paese, e il cavaliere immaginò i suoi compagni immersi dentro le giacche di panno scuro col capo ciondolante sotto il pesante elmo. Poteva quasi vederli mentre soffiavano vapore ad ogni respiro, tanto che fra di loro era impossibile distinguere chi fumasse davvero da chi no. In quel momento un mezzo sorriso contrasse i lineamenti smagriti dalla malattia, apparendo come una smorfia di dolore invece che un melanconico ricordo. Poteva quasi sentirli bisbigliare tra di loro se voleva, sempre nella sua testa, mentre maledicevano il freddo e la guerra che li aveva condotti sino a quel luogo palustre e malsano. Nonostante tutto Molcher si era affezionato a quei giovani, a quel mondo romantico e cavalleresco nel quale si riconoscevano, un complesso insieme di false virtù e valori morali che guardavano in un’unica direzione eclissando tutto il resto, le verità degli altri ad esempio, come se valessero meno delle proprie.


Il cavaliere volse tristemente lo sguardo verso l'orizzonte, oltre lo stagno, lungo i campi già coperti di brina. Non ricordava più la sua casa, quella dove amava rifugiarsi anche quando le pozzanghere ne invadevano l’atrio ed il cane scuoteva il pelo fradicio inzaccherando ogni cosa.

A quel punto una donna fulva come lui, ma dallo sguardo più tenebroso, lo invitò ad entrare nella tenda asserendo che certamente sarebbe morto congelato da lì a breve anticipando il suo già imminente trapasso. Lei era giunta da poco tempo all’accampamento, dopo che il re e le truppe avevano ripreso la marcia. Non piaceva a nessuno, ma conosceva le arti mediche della cura e delle erbe, perciò in molti la tenevano a distanza chiamandola strega. Molcher non la stette a sentire e provò ad allontanarsi, ma le gambe gli cedettero sotto il peso del suo stesso corpo. La donna allora si ritrovò a sorreggerlo, rimproverandolo come si fa con un bambino capriccioso. Il giovane si vergognò della sua esistenza ormai inutile, affondò il viso nei capelli ribelli della megera che sapevano di caprifoglio, di mistica e spudorata determinazione. Poi, giunti dinanzi al capezzale, lei lo allontanò da sé in malo modo facendolo barcollare verso il letto e a Molcher non restò che sdraiarsi, con fatica, mentre lei gli offriva una bevanda dal colore indecifrabile.

“A che serve questo schifo?”

“A rimanere in vita!” rispose lei, con voce asciutta.

“Per quanto tempo?” cercò di informarsi lui svelto.

“Fin dopo la morte” asserì lei, ancora più veloce, sghignazzando maliziosamente.


Molcher gracchiò qualcosa: avrebbe voluto ridere di gusto, ma era un lusso che non poteva permettersi se voleva che la sua ferita non riprendesse a sanguinare copiosamente. Così, senza pensarci troppo, bevve l’intruglio tutto d’un sorso, dopodiché ebbe come l’impressione che le lentiggini sul naso s’incupissero. Decise di non badarci, si stese supino afferrando il quaderno di cuoio che posò sul suo stesso petto: lo avrebbe portato con sé, oltre la vita, era l’unica cosa di cui ancora gli importava.

La sua mente, nei giorni seguenti, continuò a confonderlo. I ricordi fuggivano come le pagine sbiadite di un libro a lungo sfogliato mescolandosi all’immaginazione. Durante il dormiveglia gli pareva di sentire la megera leggere a voce alta le pagine del suo diario, se ne rendeva conto quando la febbre gli lasciava tregua per qualche istante. Avrebbe dovuto adirarsi per questo, lo riteneva un’intima violazione, invece le era grato, dopotutto era certo che prima dell'inverno la morte avrebbe spazzato via anche l’ultimo dei suoi ricordi disperdendoli nell’oscurità.


20 Novembre, anno del Signore


Le canne dello stagno si ergono sopra un fitto velo di nebbia.

Quelle più vicine allo sguardo diventano più nitide mentre, man mano che s'allontanano, sfumano fino a diventare un tutt'uno con l'orizzonte ombroso in lontananza.

Quando getti un sasso sulla superficie dell'acquitrino, in una tersa giornata di sole, i cerchi concentrici si diffondono sul pelo dell'acqua facendo ondeggiare le ninfee fino a spegnersi dolcemente dentro al fitto del canneto.

Questo non accade oggi, poiché la nebbia s’addensa tutta intorno, come me che in questi giorni sono solo un essere disincarnato che vaga in mezzo al nulla.

Il sasso è caduto nel vuoto.

La terra e il cielo si sono riuniti in un ovattato silenzio immortale.


Terzo comandamento della cavalleria

“Adempirai ai tuoi doveri

purché non contrastino il volere di Dio”


Dal diario di Molcher, cavaliere verso le tenebre.



Testo di Tamara Barbarossa (@tamara_barbarossa)

Illustrazione di Barbara Aimi (@aimi.barbara)

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