MOLCHER - secondo capitolo
Rubrica: Racconti oltre il velo
(puoi leggere il PRIMO CAPITOLO qui)
Ottobre
Molcher arricciò il naso con fare buffo mentre balzava oltre una siepe in groppa al suo cavallo Gringalet, andava a caccia di fiere con gli amici.
Nell’aria, il penetrante odore tipico del mese di Ottobre lo rinvigoriva.
Aleggiavano sulla campagna l’aroma terroso e pungente di decomposizione organica, la sottile fragranza terrea dei funghi che emergevano dalle foglie marcescenti e il fumo dolce di legna bruciata, connubio che faceva risaltare il riposo della natura in un attimo di pura estasi: il sapore rassicurante di sentirsi a casa.
Un volo di cupi uccelli oscurò improvvisamente la vista del giovane, come se lo stormo gli avesse avvolto completamente la testa. Un dolore lancinante salì fin sopra il costato, pasteggiò nauseato il sapore ferroso misto alla saliva che si attardava sulla lingua.
“No!” si disse, non desiderava destarsi dal torpore che gli immobilizzava il corpo.
Poté percepire il suo stesso sguardo illuminarsi mentre ammirava la stagione autunnale indugiare sui tetti del villaggio. Il sole rifletteva sulle finestre che si erano appena richiuse su loro stesse, spavente del primo alito di vento stagionale.
Ancora una volta l’olfatto prese il sopravvento.
Le strade odoravano di mele cotogne e uva, dalle porte spalancate delle cantine il fumo delle caldaie schiumanti di mosto fuoriusciva in nuvole di vapore, le voci aspre e clamorose dei pigiatori facevano eco alla spremitura dell’impasto.
“Ragazzo!”
“Ragazzo!”
“Ragazzo!”
Qualcuno insisteva a scuoterlo con prepotenza…
“Cavaliere, apri gli occhi!”
Un ceffone sonoro risuonò fin dentro il suo orecchio mentre le immagini avvolgenti dell’autunno si dileguavano ormai nella sua mente come neve al sole.
Molcher dischiuse gli occhi, per quel che poteva.
La vista era offuscata, il sangue rappreso sulle ciglia gli impediva di aprirli completamente.
Un vento fin troppo frizzante per il periodo scese dai monti già avvolti di nebbia e gli gelò l’animo, così come il canto lento e dosato del cuculo che giungeva dal bosco vicino.
“Riesci a metterti in piedi?”
Si mosse lentamente, il dolore fu acuto tanto che calde lacrime gli rigarono il volto facendosi strada sullo sporco stratificato della pelle. Accennò comunque ad un flebile “sì” al compagno.
Erec, un cavaliere più alto in grado, era giunto in soccorso: ancorò il braccio al suo e, con una poderosa stretta seguita da uno strattone di ferraglia sonante, lo rimise in piedi.
Molcher si mosse al rallentatore volgendo lo sguardo oltre le sue spalle. Qualcuno piangeva invocando la madre. Sotto di lui, corpi esanimi giacevano scomposti, il tempio dell’antica Dea primordiale ruggiva soccombendo sotto le fiamme che loro stessi avevano appiccato condannando a morte chi aveva cercato rifugio al suo interno.
Gli parve che il rumore stridente del ferro gli ferisse ancora le orecchie. Si trattava invece del suono di un corno, il corno del re, che sulla collina sovrastante annunciava la vittoria della battaglia.
Riconquistare le terre sottratte ai legittimi figli di Dio, Molcher lo ripeteva come un mantra da settimane per quietare il proprio animo, una scusa che potesse giustificare tutto l’orrore che aveva visto negli ultimi tempi. Ma le voci, sempre più insistenti, che in Terra Santa qualcosa dall’immenso potere richiamasse i potenti della terra scatenando guerra e morte, lo inorridivano più di ogni altra cosa.
Il suo mondo si sgretolava, lo vedeva scivolare via come sabbia fra le dita.
“Riprenditi ragazzo!” gli intimò Erec mentre scostava leggermente la maglia di cotta valutando la gravità della ferita. Un fiotto di sangue vivo fuoriuscì dal fianco “Te la caverai, è una ferita da nulla!” asserì con un’espressione per nulla rassicurante. Così, per celare la preoccupazione di ciò che aveva appena visto, aggiunse “Presto andrai fiero della tua cicatrice!”
Molcher si voltò indietro ancora una volta come inebetito, come se tutto ciò che stava vivendo non fosse reale. Altri cavalieri rovistavano tra i cadaveri alla ricerca dei sopravvissuti. Allora abbassò lentamente lo sguardo verso le sue mani, le osservava riconoscendole a stento. Aveva perduto i guanti e i palmi macchiati di rosso riflettevano ciò che era diventato realmente, un assassino.
Quante persone aveva già ucciso? Non riusciva a contarle ed era trascorso solo un mese da quando era stato nominato cavaliere.
Il cuore fece un capitombolo verso il basso, quasi sfiorandogli i piedi, e le ginocchia parvero cedere.
Erec lo sorresse con le sue larghe spalle e insieme si diressero verso i cavalli radunati poco distante.
Gringalet pareva star meglio di lui. Gli diede un buffetto, ma persino il cavallo stava per le sue e non lo degnò di uno sguardo.
Le prime gocce di pioggia li sorpresero mentre si stendeva adagio sulla lettiga e qualcuno tamponava la ferita facendo fin troppa pressione.
Chiuse gli occhi immaginando un bel raggio di sole trapassare la nuvolaglia, ma questa volta non funzionò. L’alito della morte aveva spazzato lontano l’immagine che aveva sempre avuto di sé, quel giovane scapigliato dal pelo rosso con una fervida immaginazione non esisteva più.
Rimase aggrappato alla spada per tutto il tragitto, alla nuova ed onorevole veste che gli avevano cucito addosso, certamente inadatta ad un animo come il suo.
La croce svettò dinanzi alla carovana di superstiti, il corno rimbombò ancora una volta, Dio camminava in terra e decideva chi doveva vivere o morire.
31 Ottobre, anno del Signore
Sono bastati tre giorni di forte vento e qualche ora di pioggia grossa perché la faccia del mondo mutasse.
Adesso è autunno, dentro e fuori di me, la mano trema.
Secondo comandamento della cavalleria
“Proteggi la chiesa”
Dal diario di Molcher, cavaliere del re
Testo di Tamara Barbarossa (@tamara_barbarossa)
Illustrazione di Barbara Aimi (@aimi.barbara)
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